Sono sempre stata affascinata dagli altri, ma soprattutto sono sempre stata una buona ascoltatrice.
Fin da bambina ho collezionato i segreti delle persone più disparate. Dalla mia mamma, ai miei amici a scuola o in vacanza, a volte anche di sconosciuti. Altre volte perfino di persone più grandi di me. Poi crescendo, ho compreso l'importanza di non rivelare questi segreti, una lezione che ho imparato non senza qualche rimpianto. Questo è stato forse il mio piccolo "peccato d'infanzia", ma questo adesso non importa. Mi sono sempre sorpresa di come le persone desiderassero confidarsi con me così prontamente, e ho sempre rispettato questa fiducia - qualcosa che sentivo essere prezioso - mentre nel frattempo continuavo a nutrire il mio interesse per gli altri e ad osservarli, tenendo per me le loro confessioni. Sono anche un buona oratrice: mi piace parlare. Mi piace principalmente speculare su concetti astratti o di filosofia più che parlare proprio di me (ma anche questa è un'altra storia).
Tuttavia, non amo il gossip. Soprattutto, non mi piace tutta l'energia che le persone perdono giudicando e parlando degli altri invece che nel cercare di capire se stessi.
Allo stesso tempo, crescendo, quello che oggi riconosco come un dono mi ha causato qualche dispiacere quando ho capito che non era così semplice ritrovare negli altri quello stesso ascolto che io ero invece così pronta a offrire. Molte volte, nella nascita o nell'approfondimento di un'amicizia, ho sperato di ricevere lo stesso ascolto e interesse genuino che da me donato. Ma più di una volta invece, ho sperimentato delusioni. È vero che il nostro dare dovrebbe essere disinteressato, così come è vero che da persone adulte possiamo e dobbiamo esplicitare i nostri bisogni, ma una parte di me ha sempre pensato che ci fosse una sorta di "codice non scritto" e che se le persone non erano pronte a ricambiarmi con lo stesso ascolto non sarei stata io a chiederlo. Forse semplicemente non erano in grado di offrirlo, e non avrei dovuto aspettarmi questo nè prenderla sul personale, ma invece cercare di capire La comprensione è ciò che più di tutto mi ha curato dalla delusione e dall'infelicità, insieme all'accettazione e al non giudizio.
Oggi non soffro quasi più per questo. Capisco che il nostro rapporto con gli altri ha a che fare unicamente con il rapporto che abbiamo con noi stessi; che più siamo pieni, felici e soddisfatti, più abbiamo da offrire; e che la capacità di ascoltare gli altri è inseparabile dalla capacità che abbiamo di ascoltare noi stessi. Non ne soffro più ma, ogni tanto, mi guardo intorno e mi accorgo che siamo ancora un po' lontani. Molti di noi sono bravi a parlare di se stessi, ma non abbastanza di noi sono altrettanto bravi ad osservare e cercare realmente di capire gli altri. Per cui mi sento di dire questo: Come possiamo davvero aiutare gli altri se non li vediamo nemmeno? Nè siamo in grado di ascoltarli? Se vogliamo davvero essere di aiuto, dovremmo iniziare da noi, lavorando prima su noi stessi così da non "tornare su di noi" ogni volta. Così da essere finalmente in grado di dare agli altri lo spazio e l'attenzione che continuiamo così disperatamente a desiderare per noi stessi. Quindi, fare uno sforzo attivo di ascolto, domande aperte, praticando il non- giudizio, un "luogo" in cui le persone possano finalmente sentirsi ascoltate e viste e dove possano sentirsi al sicuro e amate. Penso che questo sia un enorme passo avanti per l'eliminazione di quegli schemi malsani che ci allontanano dagli altri e dalle relazioni che ci rendono distanti quando, in realtà, siamo uniti, noi con noi stessi, e quindi uniti agli altri. Ascoltare gli altri inoltre aumenta anche la nostra autostima, empatia e benessere emotivo. Ci rendiamo conto che possiamo effettivamente “uscire da noi stessi” senza perderci.
Al contrario, così facendo scopriamo che siamo finalmente di sostegno al mondo
Viola Piacentini viola-yoga.com
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